La guerra in Europa

Noi siamo Charlie Hebdo. Voi chi siete?

Sono stati colpiti a morte la redazione ed il direttore della rivista satirica “Charlie Hedbo”, un obiettivo ben definito per i suoi sentimenti anti-islamici e che era minacciato da anni. Eppure tutte le autorità europee e persino quelle francesi, si sono dette scioccate per l’aggressione mortale avvenuta nel cuore di Parigi. Semmai avrebbero dovuto essere scioccate dal contrario, ovvero che ancora non ci fosse stato un attentato mortale. A “Charlie Hebdo” lo avevano pronosticato esplicitamente: bisognava aspettare la fine di gennaio. Quello che è incredibile è che i servizi di sicurezza francesi abbiano avuto la vista più corta di un gruppo di vignettisti. La Francia è sotto attacco? Ovviamente si, ma non nei termini in cui lo furono Spagna ed Inghilterra fra il 2003 ed il 2005, ovvero Paesi impegnati direttamente nella guerra voluta da Bush all’Iraq. La Francia era contraria, la Francia ha una politica filo araba, la Francia è amica dei palestinesi. Arafat è morto tenendo le mani ad un presidente francese in un ospedale parigino, la Francia ha fatto un formidabile favore alla Jihad rovesciando Gheddafi. Non saranno stati l’intervento in Mali, o la blanda partecipazione alla missione militare contro l’Isis, a cambiare il peso della politica estera francese verso il medio oriente e tanto meno le polemiche sul velo. La Francia si confronta con milioni di mussulmani al suo interno e dopo la guerra di Algeria si preoccupa di trovare un giusto equilibrio, una giusta integrazione, persino a rimuovere un suo complesso di colpa coloniale. Non c’era quindi una specifica ragione per attaccare la Francia ed infatti l’attacco è stato mirato ad un editoriale, al suo direttore e ai componenti della redazione. Solo che da quel momento la Francia come nazione si trova nell’occhio del ciclone. Il governo francese non ha saputo proteggere quelle persone, non ha preso sul serio i rischi a cui erano esposti e adesso ha scoperto un nemico all’interno. Non c’è bisogno di un’immigrazione recente per fomentare il terrorismo. Anche in questo caso disgraziato, come in altri precedenti, l’identikit degli assassini corrisponde a cittadini di nazionalità del paese di adozione di una generazione oramai vecchia di cinquant’anni. Questa omicida è almeno la terza, evidentemente cresciuta con il mito della jahd e non con quello della democrazia occidentale. Poiché non si capisce come questo sia possibile, ecco il sentimento di impreparazione, il timore di non essere in grado di difendere i propri cittadini, la prova di debolezza davanti ad un nemico feroce e senza volto. Eppure bisognerebbe capire prima di tutto perché la Francia non ha saputo prendere sul serio le minacce ricevute alla rivista satirica, poi preparare l’insieme dei paesi europei alla necessità di fronteggiare una forma di terrorismo finora complessivamente ignota da noi, come quello di matrice islamica. Non è una battaglia persa, già la si combatte in tutto il resto del mondo. Bisogna solo comprendere che non si poteva evitarla e trovare la determinazione per combatterla fino in fondo.

Roma, 8 gennaio 2015